mercoledì 16 maggio 2018

[Nel nome della strega II]: giulsjups recensisce "La ragazza con la leica" di Helena Janeczek


Quest’anno partecipo all’iniziativa “Nel nome della strega” di Annamaria, cara amica e splendida bookblogger.
Il libro che ho scelto è “La ragazza con la Leica” di Helena Janeczek, scrittrice originaria di Monaco di Baviera e nata in una famiglia ebreo-polacca che vive in Italia da oltre trent’anni.
Qualche tempo prima di prendere parte a questo progetto, ho letto la trama del libro e mi è subito sembrato interessante. Chi è questa ragazza con la Leica (che, per chi non lo sapesse, è una marca di macchine fotografiche)? È Gerda (Gerta) Taro, nata Gerta Pohorylle, nel 1910 - tedesca di famiglia ebreo polacca, commercianti di piccola borghesia. Entra a far parte molto presto dei movimenti socialisti ed è molto attiva nel Partito Comunista tedesco. Dopo esser stata in prigione, decide di scappare a Parigi, dove conosce l’ungherese André Friedmann (poi ribattezzato Robert Capa) con cui si fidanza e grazie al quale scopre il mondo della fotografia. Ciò che rende però le sue foto particolari è il contesto della guerra, che piano piano si stava facendo più aspra.
Gerda è un personaggio irrequieto, non si accontenta mai, è temeraria, o, come viene definita all’interno del libro è “spericolata”. È a causa di questo suo modo di essere che, purtroppo, incontra presto la morte.
È il primo di agosto millenovecentotrentasette, Parigi è attraversata da una fila di bandiere rosse: è il corteo funebre proprio per Gerda, la prima fotografa morta in un campo di battaglia come se fosse un soldato.
È il giorno del suo ventisettesimo compleanno.
“Intorno alla tomba si espandeva una calca ingombrata di striscioni e bandiere rosse che rendeva invisibile chi prendeva la parola. […] Orazioni solenni e battagliere, telegrammi, versi (o erano frasi poetiche?) dedicati a un’allodola scomparsa a Brunete che non cesserà mai di far udire il proprio canto. Qualcuno ricordava che quel giorno, 1°agosto 1937 avrebbe compiuto ventisette anni <<la nostra Gerda>>, la coraggiosissima compagna che aveva dato la sua giovane vita per una lotta a cui sapeva appartenere il futuro di tutti.>>”
Fra la folla c’è il dottor Willy Chardack, detto “il Bassotto”, che nella prima parte ci parla di quanto effettivamente fosse innamorato di Gerda, di come però potesse amarla solo da lontano. Di lei, infatti, fra i numerosi episodi, racconta: “sì, opportunista l’avevano pensato in molti. […] Era fatta così, era volubile e volitiva, un metro e mezzo di orgoglio e ambizione, senza i tacchi. Bisognava prenderla com’era: sincera sino a far male, affezionata a modo suo, sulla lunga durata”.
C’è anche Ruth Cerf, l’amica con cui ha condiviso la vita terribile parigina che occupa la seconda parte della storia:
“Ruth non aveva mai visto Gerda rinfacciarsi un errore, rimasticare un rimorso.”;
“a Gerda non piacevano le cose che finivano”;
“Era spiazzante, Gerda. […] Non sarebbero diventate amiche se quel parlarsi liberamente non si fosse instaurato tra loro molto presto, facendo vacillare le prime impressioni che Ruth si era fatta. La bambolina di Stoccarda non era solo più divertente di qualsiasi oca infiocchettata. […] Era qualcosa di diverso.”
Infine c’è Georg Kuritzkes, che occupa la terza ed ultima parte, fidanzato di Stoccarda, al quale Gerda è sempre rimasta legata da un profondo affetto – anche se l’amore per Capa era qualcosa di inspiegabile. Georg dice:
“Non capisco cosa sentiva. Paura poca, d’accordo. E poi?”
“Oggi nessuno sa più chi era Gerda Taro. Si è persa traccia persino del suo lavoro fotografico, perché Gerda era una compagna, una donna, una donna coraggiosa e libera, molto bella e molto libera, diciamo libera sotto ogni aspetto.”

Il libro è completato da un prologo e un epilogo molto particolari: si inizia con una foto scattata da Capa e Taro e termina con un ritratto proprio di questi due. Si sono amati veramente tanto, ma Capa non si è mai perdonato di averla lasciata sola in quel servizio fotografico che apparentemente non doveva essere così pericoloso.

La scrittrice, però, a mio parere, ha perso di vista l’obiettivo chiave, ovvero quello di raccontare la storia di Gerda.
Ce la presenta con gli occhi di chi le è stato accanto, di chi l’ha vissuta in tutta la sua imprevedibilità e in tutto il suo coraggio.

Potrebbe essere una struttura molto interessante, se avesse incentrato la sua scrittura su quella che dovrebbe essere la protagonista indiscussa di questo libro, ed è questo l’errore più grande che, secondo la mia modesta opinione, l’autrice ha commesso: introduce troppi personaggi facendo perdere il filo del discorso al lettore. Gerda è raccontata e descritta solo di sbieco, in conseguenza a ricordi e immersa nel contesto bellicoso. Non solo: i continui salti temporali fra ricordi e presente non aiutano affatto.
Tutto ciò è sorprendente, soprattutto perché nei ringraziamenti specifica di aver conosciuto Gerda Taro grazie ad una mostra a lei dedicata, organizzata da Irme Schaber, la quale ha anche scritto delle biografie sulla stessa fotografa. Il materiale, dunque, non mancava. Sorprende anche che lei sostenga che l’anima del libro è frutto della sua immaginazione: i personaggi sono esistiti davvero, allora dove la troviamo questa sua fantasia?
Della Taro si percepisce comunque che tipo fosse: spregiudicata, testarda, indipendente, controcorrente, impulsiva e istintiva, coraggiosa, rivoluzionaria.
Per conoscerla a fondo, però, ho dovuto condurre delle mie ricerche personali attraverso internet: solo da queste ho potuto comprendere in pieno il significato di una frase che lei disse: “Capite quanto la mia Leica sia utile alla causa?”
Fotografare le idee politiche e sociali al fine di realizzare una rivoluzione con l’arte.

Probabilmente mi aspettavo una biografia pura, un racconto sulla guerra vista da occhi diversi e innovativi allo stesso tempo; forse, ancora, speravo che l’autrice prendesse Gerda come narratrice usufruendo dei racconti di chi l’ha conosciuta.
È sicuramente una figura interessante ed è possibile che sia questo il fattore che ha portato la Janeczek in finale: bisognerebbe tuttavia capire perché ha seguito questo tipo di struttura per comprendere la storia fino in fondo.





Vi ricordo la tappa precedente e quelle successive de' "Nel nome della strega II":

14 MAGGIO: TWINS BOOKS LOVERS con “Le stanze dell’addio” di Yari Selvetella.

16 MAGGIO: GIULSJUPS con “La ragazza con la leica” di Helena Janeczek.

18 MAGGIO: LA BIBLIOTECA DI STEFANIA con “Sangue giusto” di Francesca Melandri.

21 MAGGIO: MATTIA TORTELLI con “Da tuo terrazzo si vede casa mia” di Elvis Malaj.

23 MAGGIO: RECENSIONI LAMPO con “La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg” di Sandra Petrignani.

25 MAGGIO: RESPIRO DI LIBRI con “Anni luce” di Andrea Pomella.

28 MAGGIO: THE BOOK LAWYER con “Come un giovane uomo” di Carlo Carabba.

30 MAGGIO: ATTORCIGLIATA con “La madre di Eva” di Silvia Ferreri.

1 GIUGNO: GENTE DI TACCUINO con “Il figlio prediletto” di Angela Nanetti.

4 GIUGNO: L COME LIBRO con “Questa sera è già domani” di Lia Levi.

6 GIUGNO: LEGGO LIBRI con “Il gioco” di Carlo D’Amicis.

8 GIUGNO: LA CONTESSA RAMPANTE con “Resto qui” di Marco Balzano.






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