venerdì 31 maggio 2019

Intervista a Desy Icardi autrice de' "L'annusatrice di libri"



"Adelina promise e si diresse verso casa, domandandosi se una vita senza libri avesse davvero motivo di essere vissuta"


Cari lettori, qualche mese fa vi ho parlato di un libro che ho davvero apprezzato tantissimo, una favola che è un vero e proprio inno d'amore per la lettura. Il suo titolo è "L'annusatrice di libri" scritto da Desy Icardi. Se volete saperne di più trovate QUI la mia recensione.

Tutta questa introduzione per dirvi che durante l'ultima edizione del Salone del libro di Torino, io, Federica e Carmen abbiamo avuto il piacere di fare scambiare due chiacchiere proprio con Desy Icardi, a proposito del suo libro e del suo lavoro. Così, ne è venuta fuori un'intervista molto interessante di cui vi riporto uno stralcio. 

Prima, però, conosciamo meglio l'autrice.



Desy Icardi


Nasce e vive a Torino dove lavora come formatrice aziendale, scrittrice, cabarettista copy writer .
Nel 2004 si laurea al DAMS di Torino in teatro d'animazione, mentre dal 2006 calca i palchi dei cabaret con lo pseudonimo di La Desy. È autrice di testi teatrali in prevalenza comici e ha firmato anche alcune regie.
Nel 2013 ha fondato Patataridens, il primo blog italiano dedicato alla comicità al femminile.
Nel 2019 ha pubblicato con Fazi editore "L'annusatrice di libri".




Intervista

Il tuo romanzo è un vero e proprio inno alla lettura. Hai deciso di indirizzarlo verso un pubblico giovanile per avvicinarlo al mondo dei libri oppure no?

In realtà no, non sono così filantropa. Devo dire che ho scritto ciò che avevo bisogno di leggere.
Pensiamo un  po' al teatro, lì ci trovi sempre l'attore autocompiaciuto di sé. Beh, io sono una lettrice compiaciuta di sé. Anzi, sono prima di tutto una lettrice che scrive e non una scrittrice che legge e proprio per questo mi piaceva l'idea di celebrare la scrittura. Non avevo intenti di fare proseliti, se poi è successo meglio ancora. Non avevo alcuna spinta filantropica, anzi se l'avessi avuta sarebbe stato peggio. Il romanzo sarebbe diventato più stucchevole e demagogico.


Per la serie domande scomode: tra la tua carriera da attrice e quella da scrittrice se dovessi scegliere di portare avanti solo una a quale rinunceresti?

È facile risponderti perché quella d'attrice già non c'è più come carriera, quindi sarebbe facile risponderti che sceglierei la strada della scrittura. La sensazione di recitare davanti a tante persone specie quando fai cabaret e senti le risate del tuo pubblico, è davvero impagabile. Questa stessa emozione non me la danno i libri, ovviamente. Però, per me anche nel campo cabarettistico la scrittura è sempre stata importante. Se non scrivessi testi non avrei niente da dire sul palco, quindi diciamo che amo la combinazione tra queste mie due carriere e passioni.


Che profumo ha il tuo libro preferito?

Prima di tutto bisognerebbe capire qual è il mio libro preferito, cosa non facile da capire. Credo "Le notti bianche" di Dostoevskij e quindi l'odore salmastro del fiume. Questo romanzo l'ho letto mille volte e poi c'è un attore bravissimo su youtube che lo legge e lo avrà riascoltato tantissime volte.



Potete leggere le altre parti dell'intervista sul blog di Carmen Federica

A presto
la vostra Contessa

martedì 28 maggio 2019

[Recensione]: "Settembre 1972" di Imre Oravecz



"...come chi allunga la mano verso qualcosa al quale non può più arrivare, ma comunque allunga la mano perché non può fare altro, ti baciai, con tale veemenza che dalle tue labbra scaturì il sangue, e il suo sapore salato si mischiò nella mia bocca al dolce sapore del bacio, e dopo di allora per tanto tempo, anche dopo anni lo sentii, e lo sento ancora adesso, quando ormai anche il sapore dolce è scomparso, e ormai non sento altro di te".




Titolo: Settembre 1972
Autore: Imre Oravecz
Casa editrice: Edizioni Anfora
Data di pubblicazione: 16 giugno 2019
Pagine: 132
Prezzo: € 15,50


Imre Oravecz


Nasce nel 1943 a Szajla in Ungheria. È un poeta, scrittore e traduttore. Nel 1962 pubblica le sue prime poesie sulla famosa rivista letteraria "Aföld", mentre il suo primo libro solo nel 1972.
 Nel 1989 il governo comunista gli offre il prestigioso Premio Attila Jòzsef che lui rifiuta e poco dopo decide di partire per gli Stati Uniti. Ritorna in patria nel 1990 dove diventa consigliere presso la presidenza dei ministri del primo governo eletto democraticamente. Ha lavorato come redattore per diversi giornali e come docente universitario dell'Università Cattolica di Budapest. È uno dei più acclamati scrittori ungheresi ed ha ricevuto diversi riconoscimenti come il Premio Prima e il Premio Kossuth.


Recensione



"Settembre 1972" è un'opera molto particolare, tanto che già darle una definizione diventa difficile.  In essa, infatti, sono contenute 99 istantanee in cui prosa e poesia si mescolano e si incastrano tra loro, creando un prosimetro molto armonioso ed evocativo.
Ad essere protagonista di questo romanzo dalla particolare forma narrativa è una coppia semplice, che il lettore impara a conoscere seguendo il corso della loro storia d'amore dal suo prologo al suo epilogo.
A raccontarcela è lo stesso narratore che, in prima persona attraverso i suoi ricordi più intimi, ripercorre le gioie, i dolori, le gelosie, il senso d'abbandono e tutti gli altri sentimenti che questa relazione ha scaturito in lui. 
Quando ci si lascia l'amore è finito davvero? Si può continuare a sperare che una persona torni da noi anche se razionalmente già si sa che è impossibile ciò si realizzi? Il tempo cura realmente tutte le ferite e mette una toppa alle mancanze?
Questi sono i tanti interrogativi che "Settembre 1972" tira fuori dall'animo dei lettori più inquieti, sentimentali e irrazionalmente emotivi, ma una risposta universalmente valida non c'è. Però, una cosa è certa: tutti si rispecchieranno nella figura del narratore, perché tutti nella loro vita hanno provato ciò che prova lui e che descrive con onestà sentimentale senza mai risparmiarsi o tacere le sue emozioni, neanche quando è depresso o sente che sta sprofondando nel baratro più profondo della nostalgia. 



"... durante la passeggiata chiacchierammo di tante cose, che ormai nemmeno ricordo, e passammo per strade di ogni sorta i cui nomi sono conservati ormai solo sulle carte, ed eri limpida e indifesa, e mi piacevi sempre di più, e non volevo più procacciarmi una donna, né te, né altre, ma volevo solo stare con te, diventare simile a te, che eri riuscita a farmi dimenticare che tu eri donna e io uomo..."

È da qui che prende avvio la storia d'amore narrata da Oravecz. Un uomo e una donna si incontrano, si innamorano, si sposano e dalla loro unione nasce un figlio. Tutto normale, quasi banale fino a qui, ma dietro l'angolo c'è la crisi: la monotonia, l'attrazione per la novità, la gelosia sono solo alcuni dei motivi che portano Lei ad allontanarsi da Lui.
E così, utilizzando una tavolozza piena di sentimenti misti e spesso contrastanti, il protagonista-narratore racconta con degli istantanei flussi di coscienza i moti del suo animo, non mettendo mai il punto tra un'emozione e l'altra, ma ponendolo solo alla fine di quel monologo interiore, talmente intimo e profondo da logorare e commuovere qualsiasi lettore.

La cosa interessante è che, nonostante il forte sentimento provato per questa Lei che lo ha abbandonato e tradito, Lui non la descrive mai come una donna angelo stilnovista, ma mette nero su bianco tutti i suoi difetti fisici e caratteriali, e non cerca di occultare le azioni spiacevoli di cui si è macchiata come i suoi tradimenti.
Perché nonostante abbia perso la sua giovinezza, abbia cambiato diversi mariti, non si sia mai presa cura di loro figlio, lui la ama di un amore che non riesce a cancellare. E anche se il tempo passa, gli uccelli continuano a volare nel cielo plumbeo, tante donne si susseguono nel suo letto, Lui continua a sperare di rivederla, di leggere lettere scritte da lei, di poterla possedere ancora un volta e soprattutto che Lei si accorga di amarlo ancora. 



"Non mi ami più ma vedo che cerchi di sopportarmi, anche se non stai con me, almeno vivi nelle mie vicinanze, anche se non ti interessa la mia occupazione, almeno mi esorti a lavorare, anche se non chiedi di farne parte, almeno lasci che sogni un futuro comune, anche se non hai bisogno di quel che ricevi da me, almeno non lo rifiuti, anche se non mi doni niente [...] anche se non hai fiducia che un giorno andrà tutto a posto, almeno non uccidi in me la speranza, e credimi, io sono grato del tuo sforzo, e apprezzo a dovere ciò che fai per me, perché so che non è facile amare se si è amati, come non era facile nemmeno per me quando ancora mi amavi e io non ti amavo ancora".


Vi lascio con uno stralcio della mia istantanea preferita che, a mio parere, più rappresenta la disperazione provata dal narratore che cerca qualsiasi appiglio per rincorrere quella felicità che purtroppo sa già non esistere più. 

Assegno 4 penne a "Settembre 1972" e spero davvero voi accettiate il mio spassionato consiglio e decidiate di leggerlo.



A presto 
la vostra Contessa


lunedì 27 maggio 2019

[Nel nome della Strega]: mr tannus recensice "M. Il figlio del secolo" di Antonio Scurati






M come Mussolini. Il suo solo nome rievoca il periodo più oscuro della nostra storia moderna. 

Ho iniziato “M. Il figlio del secolo” di Antonio Scurati a inizio aprile. Ho voluto leggerlo con calma, alternandolo ad altre letture. Ho cercato di concentrarmi per recepire più informazioni possibili e saldare maggiormente i miei ideali. Perché sapevo che avrei trovato molto al suo interno.
I fascisti sono violenti tutte le volte che è necessario esserlo. Punto. Non c’è altro da aggiungere. Loro sfasciano, distruggono, incendiano tutte le volte che sono costretti a farlo. Ecco tutto.”

Questo è il primo volume di una trilogia, che presto diventerà anche una serie tv, in cui sono narrati le vicende che vanno dal 1919 al 1924 - oltre un piccolo pezzo sul 1925 – cioè, dalla fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento, fino all’ascesa al potere di Mussolini e il brutale omicidio di Matteotti.

I capitoli sono molto brevi e spesso sono accompagnati da pagine in cui vengono riportati stralci di giornali, lettere, telegrammi e comunicati autentici dell’epoca. La brevità dei capitoli dovrebbe facilitare la lettura, ma un lettore non amante della storia o poco conoscitore del periodo storico, potrebbe trovare un po’ di difficoltà e perdersi nel labirinto di nomi e fatti.

“M. Il figlio del secolo” ci permette di conoscere a fondo la figura di Mussolini e delle persone che gli giravano intorno, i suoi amici, anche quelli socialisti, D’Annunzio (l’impresa di Fiume), le sue donne, Rachele la moglie e Margherita Sarfatti che si rivelerà essere tra le figure più influenti della sua vita.

È stato molto interessante conoscere più nei dettagli Benito Mussolini, soprattutto entrare nel suo quotidiano e nella sua vita privata. Vita costellata da numerose donne, figli non riconosciuti, un ego spropositato, una forte inclinazione alla violenza.



Questo è stato definito il primo romanzo sul fascismo ed effettivamente ha alcuni tratti caratteristici del romanzo, anche se l’enormità dei dati storici e la poca empatia nei confronti dei personaggi, non hanno permesso la fluidità della narrazione, rendendolo quindi più similare a un manuale storico.


Antonio Scurati delinea i personaggi senza indicare chi sia il buono e chi il cattivo, non sferra attacchi diretti contro il fascismo (nonostante lui sia fortemente antifascista), ma lascia al lettore la scelta.

Nonostante le note e già segnalate inesattezze storiche, dietro quest’opera c’è un grandissimo lavoro, ma soprattutto una grande necessità di raccontare il fascismo affinché i fatti siano da monito per l’oggi e per il domani.

Gaetano Lamberti


giovedì 23 maggio 2019

Recensione de' "Il guardiano della collina dei ciliegi" e intervista all'autore Franco Faggiani



"...amavo i colori delle notti d'inverno. Il nero e il blu del cielo, il rosso dei fuochi, il candore delle praterie sotto la luna, l'oro tremolante delle lampade accese sotto i porticati vuoti, il luccichio della nera ossidiana che ricopriva i pavimenti dei templi, l'argento fugace dei bagliori di tempesta che hanno origine dal cuore delle nuvole. Dell'inverno amavo anche gli odori freddi e pulsanti dei boschi fradici, del muschio e delle muffe dei luoghi abbandonati".


Titolo: Il guardiano della collina dei ciliegi
Autore: Franco Faggiani
Data di pubblicazione: 2 Maggio 2019
Casa editrice: Fazi editore
Pagine: 230
Prezzo: € 16,00

Trama

Questo romanzo è ispirato a una storia vera. Ripercorre, infatti, le vicende di Shizo Kanakuri, il maratoneta olimpico che dopo una serie di vicissitudini e incredibili avventure, ottenne il tempo eccezionale di gara di 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti e 20 secondi. 
Per scoprire come sia giunto a ciò, non vi resta che leggere "Il guardiano della collina dei ciliegi".



Recensione

Shizo Kanakuri è un giovane ragazzo nato a Tamara. nel Sud del Giappone. Egli sa di essere privilegiato perché sua madre è una commerciante di tessuti e spezie, che grazie al suo lavoro riesce a dargli una formazione privata e a farlo studiare all'Università di Tokyo. Qui Shizo grazie al sostegno e agli allenamenti di Jigoro Kano, futuro fondatore del judo, riesce a partecipare alle Olimpiadi svedesi del 1912. Così si imbarca, e dopo un viaggio tortuoso e interminabile arriva a Stoccolma. Shizo non sa ancora, però, che i suoi sogni e le sue speranze più grandi stanno per essere disattese e che presto si trasformeranno in un incubo lungo una vita.


Non mi soffermo di più sulla trama perché dovete scoprirla da soli, ma ci tengo a parlarvi di ciò che mi ha colpito di più di questo romanzo: la natura, o meglio la fusione tra uomo e natura. 


"Correvo perché solo così mi sentivo realmente libero, unico, leggero, in sintonia completa con il creato. Correvo con lo scatto di un colibrì, anche se mi sarebbe piaciuto avere la leggerezza di una farfalla. Solo per non sentire il rumore dei miei passi veloci sulle pietre o quello ritmico dall'aria in uscita dai polmoni. Solo per poter credere di aver raggiunto la perfezione".



Shizo diventa un atleta in modo inconsapevole, perché fin da quando è bambino lui corre tra i fitti boschi, lungo i fiumi che attraversano il suo paese, e per quelle vicine terre selvagge che offrono sempre qualcosa di cui cibarsi - radici, funghi e bacche - e un rifugio dove riposarsi.
Ecco come il protagonista di questo romanzo si trasforma in un olimpionico senza neanche averlo mai sognato. La sua forza sta tutta nella natura, in quell'incantevole paesaggio giapponese di cui Faggiani sa rendere tutte le sfumature, le albe, i tramonti, i profumi di pesco e quelli delle muffe. Così, che davanti a queste descrizioni così reali e particolareggiate, il lettore non può che restare senza fiato e agognare il tanto lontano, ma affascinante Giappone. 

A ciò si unisce la particolarità delle vicissitudini di Shizo Kanakuri, atleta davvero esistito la cui vita è costellata da ombre e misteri. Faggiani cerca di ricostruirla dandogli valore e rendendola davvero interessante. A mio avviso, la storia del protagonista de' "Il guardiano della collina dei ciliegi" può essere divisa in tre parti. La prima molto più lenta e descrittiva, la seconda dal ritmo incalzante e incentrata su una svolta sorprendente e la terza in cui Shizo si ricongiunge con la natura e ritrova la propria identità.

Realtà e immaginazione si fondono in un'unica storia in cui il lettore si lascia incantare dallo stile evocativo e lineare di Franco Faggiani e dall'esistenza di Kanakuri fatta di brillanti risalite e duri inabissamenti, tutti vissuti in una meravigliosa cornice naturalistica, perché spesso è grazie alla natura che l'uomo riesce a salvarsi. 

Ma chi è l'autore de' "Il guardiano della collina dei ciliegi"? Andiamo a conoscerlo meglio.



Franco Faggiani

Franco Faggiani vive a Milano e fa il giornalista. Ha lavorato come reporter nelle aree più calde del mondo, ha scritto manuali sportive, guide, biografie, ma da sempre alterna alla scrittura lunghe e solitarie esplorazioni in montagna. Per Fazi editore ha già pubblicato nel 2008 il romanzo "La manutenzione dei sensi", tradotto in Olanda e vincitore di diversi premi - Wondy, Parco Maiella, Città delle Fiaccole e via discorrendo - e ha ottenuto un grande successo di critica e di pubblico.


In occasione dell'ultima edizione del Salone del libro di Torino, Franco Faggiani ha presentato il suo ultimo romanzo "Il guardiano della collina dei ciliegi", così io e le mie colleghe Carmen e Federica, abbiamo avuto la possibilità di rivolgergli qualche domanda. Ne è uscita fuori un'intervista davvero molto divertente e interessante, di cui vi riporto uno stralcio. 


Come mai hai deciso di rendere protagonista della tua storia Shizo Kanakuri?

È stata una casualità. Sai io faccio il giornalista sportivo da quando avevo 19 anni e qualche tempo fa una rivista sportiva mi chiese di scrivere un articolo sulle maratone olimpiche, mondo che io non conoscevo per niente. Quindi, un po' per obbligo e un po' perché ero e sono rimasto un giornalista serio, mi sono documentato su questo argomento scovando notizie e informazioni in profondità. Insomma, non mi sono fermato ai primi tre atleti finiti sul podio, ma li ho passati in rassegna tutti dal primo classificato all'ultimo. Leggendo la classifica della maratona olimpica di Stoccolma ho visto che accanto al nome di Shizo Kanakuri anziché il tempo cronometrico o la parola Ritirato, c'era un punto di domanda. Così incuriosito da questa stranezza ho ricercato altre fonti  e ho scoperto che il tempo cronometrico di quell'atleta c'era ed era quello di 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti e 20 secondi. Da lì ho iniziato a fare diverse ricerche per scoprire cos'era realmente accaduto, ma purtroppo non si conosce molto della vita di Kanakuri e della sua esperienza olimpionica. 
Quindi l'inizio e la fine del romanzo riportano fatti realmente accaduti, mentre tutta la parte centrale è frutto della mia immaginazione. Io so che lui è tornato sulla sua isola dove ha fatto il maestro elementare ed ha partecipato ad altre due olimpiadi. In una è arrivato quindicesimo, mentre dalla seconda si è addirittura ritirato e poi da lì è sparito dal panorama sportivo giapponese. 


Tutto il lavoro di ricerca che hai dovuto affrontare e la stessa stesura del romanzo, quanto tempo sono durati?

In realtà non tantissimo. Sai bisogna andare a ricercare sempre le fonti giuste. Oggi, rispetto al passato, ci sono molti mezzi per informarsi e questo fa sì che ci si trovi davanti a mille fonti e molte di esse sono scadenti o almeno superficiali. Ciò rende più difficile orientarsi e spesso porta via anche tanto tempo prezioso. Fortunatamente ho una cugina che vive a Stoccolma ed è sposata con colui che ha ispirato il personaggio di Kouyou presente nel romanzo. Grazie a loro due, nel giro di qualche ora sono riuscito a venire in possesso di tutti i pdf dei giornali svedesi del 1912. Una fonte più autorevole ed esatta dei giornali dell'epoca non esiste. Questi ultimi erano composti massimo da 4 o 5 pagine, di fotografie ce n'erano pochissime, le cronache erano prevalentemente legate all'incontro tra l'ambasciatori, consoli e tutte le figure autorevoli e ufficiali presenti alle Olimpiadi di quell'anno, mentre della gara c'era ben poco. Ma da lì ho iniziato a costruire tutta la storia che volevo raccontare.
Neanche la stesura del romanzo è durata tanto, circa 3 mesi ad essere precisi. Io ho una capacità che molti mi invidiano: scrivo ovunque. Anche qui, adesso, in mezzo a tutto il caos del Salone, potrei scrivere altre 10000 battute del mio libro nuovo. La stessa cosa mi accade quando vado a tenere lezioni per scuole, dove mi porto sempre il computer perché nell'intervallo scrivo. E questo mi dà un grande vantaggio, perché racimolando qualche ora un giorno e qualche minuto un altro riesco a terminare un romanzo anche in poco tempo. Inoltre, utilizzo una tecnica un po' hemingwayana, di interrompere sul più bello, quando arrivo all'apice della storia che sto scrivendo e so che potrei continuare a scriverla per delle ore, io mi fermo lì. Così il giorno dopo quando la riprendo ho già le idee chiare e non devo star a pensare troppo a come riempire le pagine.




Per leggere il resto dell'intervista mi rimando ai blog delle mie colleghe Federica e Carmen

Intanto vi consiglio assolutamente la lettura di questo romanzo a cui ho assegnato ben 4 penne.


A presto,
la vostra Contessa

mercoledì 22 maggio 2019

[Nel nome della Strega]: Readingram recensisce "Il risolutore" di Pier Paolo Giannubilo


Il Risolutore.

486 pagine di biografia sul pronipote di Alessandro Manzoni, sul nipote di Piero Manzoni: su Gian Ruggero Manzoni.
Nascere con questo cognome, non è sicuramente facile: riuscirà ad esserne all'altezza?
E' una domanda che Gian Ruggero si fa e forse una risposta l'avrà anche trovata.
Gian Ruggero nasce a Lugo di Romagna, viene preso di mira dai compagni per i suoi chili di troppo, cresce, segue le lezioni di Umberto Eco, conosce Tondelli e inizia il loro sodalizio.
Tutto abbastanza bene fino a quando, nei tumulti degli anni ‘70, viene arrestato per detenzione illecita di armi: invece che finire in carcere gli viene data la possibilità di patteggiare e di prestare servizio nelle forze dell'ordine per 25 anni. “Lo Stato arruola chi è contro di esso in modo da servirsene tenendolo a ricatto.”
Lui ci sta.
Prima però gli vengono fatti una serie di test psicologici (che sfiorano il disumano) per vedere se è all’altezza del ruolo.
E tu assisti a tutto questo col fiato sospeso chiedendoti se fosse veramente possibile tutto quello.
I test li supera alla grande.
Nessuno si aspettava certi risultati: lui non è una persona comune, lui sarà il "risolutore", colui che le faccende complicate le risolve.
E inizierà così il suo percorso verso la redenzione: andrà in altri paesi a combattere, fredderà persone, farà l'agente segreto, metterà la sua vita in pericolo.
Tornerà a casa, partirà, ritornerà e ripartirà ancora.
Pace, guerra, sangue, arte, morte, letteratura, donne, fede.
Una vita molto affascinante, indubbiamente, ma:
-con il personaggio mi è venuto difficile empatizzare.
-con l'autore tanto meno: una biografia irritante, con millemila digressioni inutili, una serie di dialoghi che fanno perdere credibilità al concetto di biografia stessa, un lessico che forse vuole emulare quello del pasticciaccio di Gadda ma che risulta essere un gran pasticcio e basta.

Insomma.

Merita per me il Premio Strega? Mhh, no.






lunedì 20 maggio 2019

[Nel nome della Strega]: Samlibrary94 recensisce "La Straniera" di Claudia Durastanti


«In italiano, il verbo “sentire” coincide con la capacità di provare un sentimento e un senso preciso, l’udito. In inglese non è così, “to hear” e “to feel” sono due azioni ben distinte. Non so come funzioni nelle altre lingue. E non so come potrò tradurre le volte che mia madre resta distesa sul letto con gli occhi chiusi e bisbiglia “Non sento niente”, senza perdere tutto quello che vuole dirmi».



La straniera di Claudia Durastanti è un’opera di autofiction, in cui la realtà viene manipolata dall’autrice e in cui le vicende personali e famigliari incontrano la saggistica.

La storia che racconta Claudia è insieme la sua storia e quella dei genitori, entrambi sordi per ragioni differenti sin dall’infanzia e che a questa disabilità decidono di rispondere in maniera del tutto anticonvenzionale, rifiutando il proprio limite fisico e rispondendo con incoscienza, anarchia e violenza.

La biografia che Claudia decide di creare non segue una linea temporale, ma le vicende raccontate vengono raggruppate per macro-argomenti e in questo senso la particolare struttura del libro risulta molto innovativa dal momento che i capitoli sono divisi e denominati come le sezioni di un oroscopo: famiglia, viaggi, salute, lavoro & denaro, amore, di che segno sei?


Il tema centrale del romanzo risulta chiaro sin dal titolo dell’opera: l’essere straniera.
Questa estraneità viene rappresentata dalla stessa Claudia, nata a Brooklyn e trasferitasi poi, all’età di sei anni in un paesino della Val d’Agri, in Basilicata, e poi di nuovo a Roma per gli studi in antropologia e ancora a Londra, dove tutt’ora risiede e lavora. Il suo essere straniera è quindi in questo caso un eccesso di radici, una possibilità di scelta tra tante patrie, che però porta inevitabilmente a non sentirsi mai del tutto a casa. L’inadeguatezza in questo caso risulta, quindi, nell’essere troppo Americana per essere Italiana e troppo Italiana per essere Americana, un sentimento che, personalmente, posso affermare di conoscere bene.
Ma stranieri sono anche i suoi genitori, che risultano estranei alla società, dal momento che il loro difetto fisico, a cui si aggiunge anche una malattia di tipo psichiatrico, risulta inevitabilmente in un handicap, uno svantaggio di tipo sociale, a cui essi decidono di rispondere con eccesso e violenza, vivendo una vita spericolata, senza regole, rifiutando ogni convenzione, tra cui anche il linguaggio dei segni.


La Durastanti affronta in questo libro tanti temi importanti: la disabilità dei suoi genitori e lo svantaggio che da ciò deriva; la povertà vista quasi come una malattia; le migrazioni, prima quelle dei suoi nonni verso l’America negli anni Sessanta e poi, in un percorso inverso, la sua migrazione verso l’Italia e poi ancora verso l’Inghilterra; la forza della letteratura, perché per Claudia esiste sempre un prima e un dopo un determinato romanzo e perché nel libro non mancano certo i riferimenti letterari, ma non solo, alle opere che più hanno avuto impatto nella sua vita; l’amore e i legami famigliari, perché il rapporto con la madre e la sua figura risultano centrali in tutto il romanzo.
Ma nonostante ciò il suo romanzo rimane senza moralismi, nessuna catarsi finale, nessuna pretesa di dare insegnamenti.


Le basi per un buon romanzo ci sono tutte, eppure, Claudia Durastanti non è riuscita a conquistarmi.
Il suo libro risulta confuso, disordinato, spesso sconclusionato.
Tra continui citazionismi e frasi che cercano di risultare memorabili è difficile arrivare ad essere coinvolti appieno dalla storia che viene raccontata, non si prova empatia con i personaggi/persone e la continua artificiosità delle immagini che crea o delle parole che accosta rende il romanzo forzato, poco scorrevole e piacevole.


Chiuso il libro, inoltre, mi sono chiesta che cosa mi avesse lasciato e a giorni di distanza la risposta sembra essere sempre la stessa: niente.
Ed è un peccato, perché Claudia Durastanti è un’autrice che potrebbe avere tanto da raccontare, ma in questo caso non è riuscita, purtroppo, almeno per me, a farlo bene.


Samanta Zhang