lunedì 10 giugno 2019

[Recensione]: "Finalmente ti scrivo" di Carmen Llera Moravia



"All'ora del telegiornale rientravo e mi sdraiavo accanto a te nel grande letto. 
Mi accarezzavi
ero tua moglie e volevi darmi piacere
Mi commuoveva la tua capacità di amarmi com'ero
scomoda
profondamente scomoda
fino alla fine
ostinatamente".


Titolo: Finalmente ti scrivo
Autore: Carmen Llera Moravia
Casa editrice: Bompiani
Data di pubblicazione: 8 maggio 2019
Pagine: 81
Prezzo: € 10,00


Recensione


Carmen Llera in Moravia è una scrittrice spagnola naturalizzata italiana. È stata la seconda moglie di Moravia - dopo Elsa Morante e Dacia Maraini che fu sua compagna per diversi anni- dal 1986 al 1990, anno della morte di Alberto. I due si conobbero quando Carmen aveva solo 27 anni ed era una studentessa impegnata nella stesura della sua seconda tesi di laurea. Alberto e la Llera avevano 46 anni di differenza e ciò contribuì a etichettare la loro unione come uno "scandalo", e a far circolare l'immagine di Carmen quale approfittatrice che mirava solo a diventare vedova del celebre scrittore.
La donna non si curò mai di queste accuse, ma pensò a godersi il suo amore con Moravia, fatto di passione, angoscia e anche tante scappatelle che Alberto le perdonava sempre.

"Dopo quel 27 di settembre non sono mai più tornata al cimitero
niente pietre o fiori
nulla
non credo che tu sia lì o da qualche altra parte
Riprendo le tue lettere
troverò la forza di prenderle e di risponderti?"

In "Finalmente ti scrivo", davanti a centinaia di lettere che lo scrittore romano le aveva scritto quasi sempre lasciandogliele sotto la porta della sua camera da letto, la Llera prende il coraggio a quattro mani e decide di rispondergli aprendo il suo cuore e raccogliendo tutti i sentimenti contrastanti che prova e ha provato in modo da metterli nero su bianco.

Ne esce fuori un collage narrativo davvero interessante. Le parole di lei si mescolano alle citazioni delle lettere scritte da Alberto per sua moglie e così il lettore si trova immerso in questo amore non convenzionale, dove tutto ad un tratto sembra essere naufragato e l'attimo dopo è ancora lì, sempre più vivo e destinato a durare anche dopo la morte dello scrittore.


In queste poche pagine scritte dalla Llera troviamo il racconto della vita quotidiana vissuta con Alberto. Spesso lui usciva dopo le 11 e le faceva trovare un pacchetto sul tavolo all'ora di colazione con dei profumi sempre diversi. Era sempre molto affettuoso con lei, ma provava molta angoscia per gli anni che passavano e non tollerava la sua vecchiaia. Ripeteva spesso a Carmen che lei si sarebbe risposata dopo la sua morte, ma lei non lo fece o almeno non lo ha ancora fatto e non hai intenzione di farlo da quanto racconta in "Finalmente ti scrivo". La Llera dal canto suo, è sempre stata una donna inquieta, che con le sue continue fughe infliggeva continui dolori in Alberto che si struggeva di gelosia, voleva sempre averla vicino a lui e le perdonava qualsiasi cosa.

Alberto strinse anche un rapporto molto particolare con Hector, il figlio di Carmen. Quest'ultimo parlava un'altra lingua e non riusciva a relazionarsi con un uomo che poteva essere suo nonno, così lo scrittore iniziò a parlargli in inglese, perché entrambi lo conoscevano ma si trattava di un idioma che non apparteneva a nessuno dei due. Così Hector imparò a conoscere meglio quel vecchio signore e Moravia ebbe sempre per lui una considerazione sincera e umana, nonostante le difficoltà incontrate nello stringere un rapporto con quel bambino a lui estraneo.

E poi c'è Alberto che la spinge a diventare una scrittrice, Alberto che le ricordava continuamente il suo amore per lei, e sempre lui che dopo ogni litigio aspettava che lei si accoccolasse accanto a lui davanti al televisore per accarezzarla, darle piacere e fare la pace.

A rendere ancora più interessante "Finalmente ti scrivo" sono le lettere di Moravia a Carmen che aprono e chiudono questa breve opera. Le ho trovate cariche di sentimento, ma alla maniera moraviana. Lui doveva struggersi, soffrire, e solo in questo modo poteva raccontare l'amore che provava per l'altra. Così fece per Elsa e così continuò a fare per Carmen.

"Cara Carmen, tutto sarebbe semplice se io non ti amassi. Siccome ti amo e l'amore è già di per se stesso complicato, tutto è invece orribilmente complesso e angoscioso".



Concludo la mia recensione con questa lettera di Alberto a Carmen che è il manifesto del rapporto di questi due coniugi, che si sono amati nonostante la differenza d'età, di lingua e dei pensieri malevoli della gente. Leggendo quest'opera ognuna si farà la sua idea su questa coppia, ma quello che è certo è che le parole spese da Moravia per questa donna sono di una bellezza inaudita e spero davvero di poter convincere qualcuno di voi a leggerle.

A presto
la vostra Contessa.

mercoledì 5 giugno 2019

[Nel nome della Strega]: "Nero ananas" di Valerio Aiolli



"Sente l'odore della città ferita appena sceso dall'auto blu, nonostante abbia ancora un po' di febbre, la tosse e il naso chiuso. È un odore di dicembre. di nebbia, di fiati. Di persiane serrate, di bandiere listate a lutto. Di silenzio. Di mandorle amare. Di polvere, di sangue".



Titolo: Nero ananas
Autore: Valerio Aiolli
Data di pubblicazione: Febbraio 2019
Editore: Voland
Pagine: 346

Trama

Tutto inizia col botto. Il botto del 12 dicembre 1969, Piazza Fontana. Gli estremisti di destra, invisibili, si incontrano, commentano, ricordano, tramano. Un anarchico si trascina di città in città, di nazione in nazione, di sconfitta in sconfitta, in attesa del momento del riscatto. Un politico così devoto da essere soprannominato il Pio, comincia la sua lenta ma inesorabile scalata al potere. Poi ci sono i servizio segreti che provano a capire, sapere, influenzare. E c'è un ragazzino, che quel giorno ha visto sparire sua sorella e farà di tutto per riuscire a ritrovarla. Quattro di destini intrecciati, di fughe, ritorni, di amore e di odio. Quattro anni incandescenti della storia d'Italia, dal 1969 al 1973, raccontati con precisione e sorprendente capacità evocativa.

Valerio Aiolli


È nato a Firenze nel 1961 e tutt'ora vive nel capoluogo toscano. Ha esordito nel 1995 con la raccolta di racconti "Male ai piedi". Il suo primo romanzo "Io e mio fratello"(1999) è stato tradotto in Germania e in Ungheria. Ad esso sono seguiti "Luce profonda" (2001); "A rotta di collo" (2002);  "Fuori tempo" (2004); "Ali di sabbia" (2007); "Il sonnambulo" (2014); "Il carteggio Bellosguardo" (2017). Per Voland ha pubblicato "Lo stesso vento" (2016) e "Nero Ananas" finalista al Premio Strega 2019.

Recensione



"Nero ananas" non vuole raccontare una storia, ma la Storia quella con la S maiuscola, quella dei terribili anni di piombo.
L'opera di Valerio Aiolli raccoglie una delle pagine più buie della nostra Italia, quella che si svolge tra il 1969 e il 1973 e lo fa attraverso i suoi protagonisti, carnefici e vittime.
La struttura del romanzo è davvero complessa e sicuramente impegnativa per l'autore che l'ha ideata, e che allo stesso tempo è riuscito nell'impresa di renderla davvero comprensibile, in modo che i lettori potessero districarsi facilmente tra i vari personaggi. 
Aiolli, infatti, utilizza alcune diversificazioni narrative e stilistiche per rendere facilmente riconoscibili nei vari capitoli gli individui che via via si succedono lasciando posto l'uno all'altro per raccontare la propria storia individuale all'interno di una Storia collettiva. 


Il Pio è il primo personaggio che incontriamo. Facciamo la sua conoscenza subito dopo la strage di Piazza Fontana, quando la tragedia si respira ancora nell'aria, così come il caos e l'incertezza. Il Pio è un uomo che si è fatto da solo e  il lettore si trova ad assistere a tutta la sua ascesa politica: nel '64 è segretario della Democrazia Cristiana, due anni dopo è eletto capo dei socialdemocratici, poi Ministro degli affari esteri, dell'Interno, dell'agricoltura e dal 1968 al 1974 ricopre la carica di Presidente del Consiglio. L'autore ci parla di lui attraverso un narratore esterno e sempre utilizzando il tempo presente, così che il lettore possa riconoscere subito le pagine a lui dedicate. Risulta poi facile entrare in empatia con quest'uomo che, nonostante gli importanti ruoli che andrà via via a ricoprire, mostra le sue grandi debolezze, il suo bisogno d'affetto e le sue incertezze, che lo porteranno poi anche a lasciare il suo incarico di Presidente del Consiglio.

Troviamo poi il Dottore, il Samurai, Falstaff e tutti esponenti dell'Ordine nuovo, il gruppo politico di estrema destra responsabile dei tanti attentati terroristici degli anni di piombo. In seguito, incappiamo in Vincent autore della Strage di Peteano e infine nel Triestino, colui a cui il narratore si rivolge utilizzando la seconda persona, con il tu.
Aiolli non si limita solo a parlare degli atti orribili di cui questi carnefici si sono macchiati, ma riesce a rendere anche nero su bianco un importante scavo psicologico di questi ultimi. 
Chi si è pentito degli orrendi crimini commessi, chi non ha mai avuto un rimorso, chi è stato spinto da motivi individualisti e chi lo ha fatto per un "bene comune". L'autore non giustifica e neanche giudica l'operato dei suoi personaggi, ma fa in modo che essi si mostrino per quel che sono: uomini, prima che carnefici, con le loro famiglie, i loro hobby e le loro debolezze. Aiolli affibbia a tutti questi individui un soprannome, ma si tratta di personaggi davvero esistiti ed alcuni ancora viventi: Delfo Zorzi, Vincenzo Vinciguerra, Gianfranco Bertoli e tanti altri. Ma l'autore non utilizza questo espediente per prudenza o per tutelarsi in qualche modo, ma solo per una ragione che spiega fin dall'introduzione alla sua opera: "Nonostante si faccia riferimento a eventi accaduti e a persone esistenti o esistite, tali eventi assumono valore di realtà solo in quanto appartenenti a questo romanzo. Che, come tutti i romanzi, è un'opera di finzione". Il romanzo parla della nostra Storia italiana, ma è pur sempre un romanzo e tale deve restare.


La parte più bella ed emotivamente coinvolgente di "Nero ananas" è a mio parere quella raccontata da un io che descrive il suo passato. Si tratta di un ragazzino senza nome che vive un'infanzia e adolescenza completamente sconvolta dalla scomparsa di sua sorella, la quale ha lasciato la sua casa per via di forti dissensi politici con il padre. Il rapporto sorella-fratello non sarà, però, mai interrotto. Lettere, incontri fortuiti, ricordi misti a nostalgia terranno sempre saldo questo legame, ma ad un certo punto anche esso sarà destinato a interrompersi per sempre. Potremmo quasi dire di trovarci davanti a un romanzo di formazione all'interno di un romanzo storico, perché il ragazzino in questione vive tutte le fasi tipiche di un normale adolescente - i primi dolori, le cotte, le bugie dette ai genitore per evadere ecc. - che si incastrano perfettamente con la nostra storia comune: la strage di Piazza Fontana, gli atti di terrorismo delle Olimpiadi del '72, i moti di Reggio Calabria, la Strage della Questura di Milano ecc.


Voi penserete: cosa hanno in comune tutti questi sanguinosi eventi storici con la storia familiare di un normale ragazzino?

Tanto, vi rispondo io. Perché, quelli che all'inizio vi sembreranno pezzi di puzzle che difficilmente possono incastrarsi l'uno con l'altro, troveranno la giusta collocazione nella storia di Nero Ananas e finiranno per essere tutti pedine di uno stesso gioco, quello della nostra Storia. 


La parte che più ho apprezzato di questo romanzo è quella finale, dove i capitoli diventano più brevi, ma anche più fitti. Mentre in precedenza ogni personaggio aveva il suo spazio e restava "rinchiuso" nelle linee del capitolo che gli veniva dedicato, verso la conclusione Aiolli finisce per metterne uno dietro l'altro, assegnando una riga ciascuno, perché la vicenda del ragazzino diventa anche quella del Pio, del Triestino, e delle povere vittime a cui l'autore dedica alcuni epitaffi.
Sì, perché bisogna ricordare anche loro. Quelle persone innocenti che avevano figli, mariti e un lavoro onesto e che sono morte per un brutto scherzo del destino: si trovavano al posto sbagliato al momento sbagliato. L'autore vorrebbe raccontare le vite di queste povere vittime, mettersi nei loro panni, magari anche capire cosa hanno pensato prima di morire o almeno chi hanno lasciato, ma si limita a comunicarci i loro nomi e cognomi e a spiegarci perché si trovavano proprio lì, presso la Questura di Milano il 17 Maggio 1973, quando il Triestino sganciò Ananas, la bomba che pose fine alle vite di persone innocenti.


Credo di avervi già raccontato abbastanza di "Nero Ananas", posso soltanto aggiungere che è stata una lettura intensa a cui mi sono dedicata anima e corpo. Leggevo, facevo ricerche, scoprivo nomi che tra i libri di scuola non avevo mai trovato e allora li studiavo su enciclopedie, siti internet e alcuni manuali che utilizzo da quando svolgo il mestiere d'insegnante. Insomma, è un romanzo che mi ha insegnato tanto e che mi ha fatto comprendere ancora di più quanto la Storia sia la nostra memoria. 
Pagine buie come queste non andrebbero mai dimenticate, pagine buie come queste dovrebbero evitare di farci compiere di nuovo gli stessi errori del passato.



A presto 
la vostra Contessa.