martedì 16 novembre 2021

Recensione: La luna bianca di Lorenzo Sassoli De Bianchi

 Titolo: La luna bianca

Autore: Lorenzo Sassoli De Bianchi

Casa editrice: Sperling&Kupfer

Pagine: 217

Prezzo: 16,90 euro





“Se di notte non riesci a dormire è perché sei nei sogni di qualcun altro”, mia mamma continua a ripetermelo da metà della mia vita, fin dal primo momento in cui ho scoperto di aver ereditato da mio padre il gene dell’insonnia.

Sarebbe davvero molto bello legare questo fastidiosissimo disturbo a qualcosa di magico e romantico, ma io non sono mai riuscita a vederci nessun lato positivo nell’addormentarmi con difficoltà e svegliarmi il giorno dopo con le sembianze di uno zoombie. 


Con questa premessa potrete capire presto, perché la vicenda raccontata dal neurologo e imprenditore Lorenzo Sassoli de Bianchi, mi abbia appassionata tanto.


Protagonisti del romanzo sono Arturo e Corallo, due fratelli davvero sui generis, che uniscono le loro forze e capacità, per poter scoprire una cura alla sindrome della luna bianca: una malattia mortale che ha contagiato tutta la città e che ha come sintomi l’impossibilità di dormire, l’euforia, la mancanza di lucidità e la perdita di memoria. 


In seguito alla morte della loro zia Rebecca, i due fratelli si interrogano sulle cause e le conseguenze della luna bianca e iniziano a collaborare con la neurologa Luisa Garesi, prestando i loro cervelli alla scienza e alla ricerca disperata di una soluzione che possa interrompere l’epidemia di insonnia.


La cosa che mi ha molto incuriosita, è il modo in cui l’autore si soffermi non solo sugli aspetti negativi della malattia - veglia continua e micidiale -, ma anche su quelli positivi come la creatività, l’aver a disposizione più tempo per svolgere tutti gli impegni e le attività della vita e infinita vitalità.


Questo è ciò che succede a Corallo, quando viene contagiato dalla luna bianca. Diventa instancabile, si dedica costantemente alla costruzione di un sottomarino con il quale ritiene di poter raggiungere la defunta moglie, scrive poesie e ascolta Bach, perché afferma che la musica lo aiuta a convivere con l’insonnia. 

Nel frattempo, però, la professoressa Garesi, Arturo, sua figlia Carolina e si suoi nipoti, lo vedono spegnersi e sanno perfettamente quale destino lo attenderà.


In un’atmosfera mistica e quasi irreale, in cui fantasia e realtà si incontrano e si scontrano fino a diventare un tutt’uno, abbracciando la letteratura di Marquez, le pagine di Kafka, le parole di Joyce e un pizzico d’arte, si consuma il romanzo di De Bianchi, fatto di buoni sentimenti, emozioni vivaci e di un emozionante lieto fine.


sabato 13 marzo 2021

[Recensione]: “L’arte di restare a galla” di Valentina Ferrari

      “Oggi ho compiuto trent’anni e se qualcuno mi chiedesse se era proprio così che avrei immaginato la vita a trent’anni la mia risposta sarebbe chiara, senza esitazioni: assolutamente no.”




Essere dei trentenni nella società attuale non è di certo semplice. La pressione a cui siamo sottoposti dal futuro che i nostri genitori desiderano per noi, dalle frecciatine che la zia acida a Natale ci riversa addosso; dagli amici con un lavoro, una casa e prole al seguito, di certo non ci consentono di vivere la nostra vita in maniera libera, lontana dai luoghi comuni e all’altezza dei nostri sogni.

Sì, perché a trent’anni sei ormai un adulto a tutti gli effetti e secondo una mentalità retrograda, ma ancora ben radicata nella mente dei ben pensanti, se non hai un lavoro fisso, un marito e hai messo in cantiere almeno un figlio, puoi ritenerti un fallito.

A raccontarci in modo brillante, ironico e frizzante, il calvario di noi trentenni è Valentina Ferrari, con il suo romanzo “L’arte di restare a galla”.
La protagonista è Amelia, una ragazza dai lunghi capelli biondi, studiosa e intelligente, ma abbastanza sfortunata. Vive nella cantina dei suoi e per conquistarsi un minimo di indipendenza svolge tre lavori: scrive per una rivista di hipster; porta a spasso il cane della signora Masi e fa la cameriera in un pub. 

Il suo ragazzo, Andrea, divide ancora il tetto con i genitori e insegue un unico sogno: quello di vivere delle sue poesie. Dopo una lunga relazione non sente ancora la necessità di prendersi le sue responsabilità, di pensare a costruire un futuro con Amelia. 

Intanto, la nostra protagonista, tra un attacco di panico e una crisi di pianto, incontra sulla sua strada tutte le difficoltà che noi giovani adulti ci troviamo ad affrontare: colloqui di lavoro fallimentari - soprattutto se sei donna, perché prima o poi desidererai avere un figlio e la maternità per molti datori di lavoro non è per niente contemplata - turbamenti sentimentali legati alla ricerca di quella stabilità che tanto agognamo e quel timore di non farcela, che ci fa restare svegli la notte e ci tormenta tutto il giorno.

Quello che ho apprezzato tantissimo di questo romanzo, è proprio il messaggio finale che vuole lasciarci l’autrice, che è reso esplicito dalla presa di coscienza di Amelia. 
Non importa quali obiettivi pensavi di raggiungere al compimento dei 30 anni, perché la vita è quello che ti capita tra un progetto e l’altro. Se Amelia avesse realizzato la sua idea di vita perfetta da donna sposata e madre, probabilmente non avrebbe mai incontrato Alberto, Milvia, Lidia e Viola, i suoi simpatici amici attempati che parlano in romanesco e le regalano sorrisi anche nelle giornate più difficili; non si sarebbe riscoperta una donna multitasking alle prese con ben tre lavori diversi e, infine, non avrebbe conosciuto Federico, il principe azzurro delle fiabe. 

Perché la vita non finisce a 30 anni, inizia semplicemente una fase più matura e consapevole, ma non per questo meno bella.